A cura di Pasquale Kovacic – 25 Novembre 2018
E’ di questi giorni la notizia trasmessa da due agenzie statunitensi, che hanno annunciato che già dal 2020, hamburger e controfiletti sintetici, ovvero creati in laboratorio partendo da colture cellulari, potrebbero arrivare sulle tavole di tutto il Mondo.
Gli Stati Uniti, hanno infatti dato il via libera alla vendita di questi prodotti, comunicando che si occuperanno degli aspetti regolatori e della loro sicurezza, attraverso un comunicato congiunto dell’Usda, dipartimento per l’agricoltura statunitense e quello dell’Fda, per il cibo e le medicine, rimuovendo così l’ultimo ostacolo legislativo ad un uso su larga scala.
E’ dal 2013 che si sente parlare di “carne artificiale”; fu il ricercatore olandese Mark Post a compiere i primi esperimenti in tal senso, che come risultato videro il primo hamburger realizzato in laboratorio, in due anni di lavoro che costò circa 325mila Dollari.
Dopo quella sensazionale scoperta, furono diverse le aziende che iniziarono a riprodurre lo stesso prodotto, ottenendo gli stessi risultati di Mark Post; dalle statunitensi Memphis Meat e Finless Food, all’israeliana Aleph farm, all’olandese Mosa Meat, ed è per questo che le previsioni possono garantire, che entro il 2020 arrivi pronto nei piatti.
Negli Stati Uniti l’Fda si occuperà della raccolta e della conservazione delle cellule, nonché della crescita e della differenziazione delle stesse, mentre una transizione dall’Fda all’Usda avverrà durante la fase della loro raccolta; l’Usda quindi, si occuperà della produzione e dell’etichettatura dei prodotti.
Un editoriale sulla rivista Chemical and Engineering News, evidenzia però il fatto che manchino alcuni passaggi, come per esempio il nome, in quanto “carne sintetica” o “carne artificiale”, non sono proprio termini commerciali che attirerebbero i consumatori.
Si è proposto allora, “carne pulita”, “carne coltivata” o “carne da cellule”, ma a questo proposito gli allevatori negli Usa si sono opposti, in quanto vorrebbero che venisse evitato l’uso del termine “carne”, per qualsiasi prodotto commercializzato che non arrivi da macellazione di animali.
Trovata la denominazione commerciale del prodotto, dovrà seguire il come poterlo produrre su larga scala a prezzi competitivi; ma l’ottimista azienda “start up” israeliana Future Meat Technology, ha annunciato di poter arrivare a circa 700 Dollari al chilo, con una probabile sensibile diminuzione entro appunto il 2020.
Ma la reazione in Italia è netta; mentre le due agenzie statunitensi prendono accordi su come seguire la produzione in tutte le sue fasi, in Italia la Coldiretti e la Assocarni annunciano il loro dissenso sulla commercializzazione di tali prodotti.
Ettore Prandini, Presidente della Coldiretti, in una sua personalissima interpretazione del fatto, ha dichiarato che: “L’annuncio dimostra che dietro i ripetuti e infondati allarmismi sulla carne rossa c’è una precisa strategia delle multinazionali” e che, citando un’indagine Ixè: “Tre italiani su quattro si dichiarano contrari all’arrivo sul mercato di carne ottenuta in laboratorio, in quanto sono preoccupati per le ripercussioni dell’applicazione di queste nuove tecnologie, sia in tema di salute che di etica”.
Tutto questo, senza tener naturalmente conto, di autorevoli studi compiuti negli ultimi decenni da eminenti scienziati e importanti Università del Mondo sull’alimentazione, come “The China Study”, tanto per citarne uno, che hanno dimostrato l’incidenza nel manifestarsi delle più gravi malattie, dovute al consumo di proteine animali e in special modo di carne rossa.
Inoltre, secondo un rapporto dell’Eurispes del 2018, il 7% degli italiani, sono vegetariani o vegani e quindi non mangiano carne di nessun tipo. Si parla di 4 milioni e 200 mila persone, che anche se annoverati in quei “tre su quattro” di cui parla il Presidente della Coldiretti, non sono nemmeno d’accordo con la produzione classica, proprio per questioni sia di salute che di etica, e questo avrebbe dovuto precisarlo.
La Coldiretti, afferma anche che “L’utilizzo di carne artificiale non sarebbe giustificato nemmeno dal punto di vista ambientale, perché gli allevamenti sarebbero responsabili solamente del 15-18% delle emissioni globali, causate per lo più dal settore dei trasporti ed energetico”.
“Solamente”, come se il 15-18% fosse poco, significa che un quinto della responsabilità delle emissioni globali è di tutti gli allevamenti, che siano intensivi o a terra, con la differenza che mentre per sostituire i combustibili fossili, sono necessari interventi importanti, che andrebbero comunque fatti, perchè le tecnologie esistono già da moltissimo tempo, nel loro caso potrebbero e dovrebbero, per il bene di tutti, “solamente” cessare definitivamente qualsiasi tipo di produzione.
Anche Assocarni, attraverso il Direttore Generale Francois Tomei si è opposta alla commercializzazione di carne artificiale, dichiarando: “Non siamo contrari al progresso e alla scienza, all’innovazione nel campo alimentare, ma gli hamburger in provetta, tra l’altro, contengono additivi e coloranti per dare gusto e colore e poi, particolare non da poco, sono pieni di antibiotici per evitare l’alto rischio di infezioni”.
Sarebbe dunque una normale carne come tutte quelle che vengono commercializzate quotidianamente, che come ormai risaputo e dimostrato, “particolare non da poco”, contengono appunto quantità enormi di antibiotici di vario tipo, somministrate alle bestie, proprio per evitare infezioni, dovute principalmente alle condizioni di vita molto precarie e poco igieniche a cui vengono sottoposte, ma anche alle mungitrici automatiche, dalle quali le mucche non vengono mai scollegate.
“Gli americani hanno una concezione del cibo diversa da noi: come nutrimento, non già per gusto e cultura” continua Tomei, e in riferimento ai “vantaggi”, sotto il profilo ambientale e della sostenibilità, aggiunge che: “Gli Usa, e in particolare l’amministrazione Trump, stanno facendo passi indietro sul fronte dell’impiego di energia fossile, principale responsabile dell’inquinamento atmosferico e dei cambiamenti climatici”, facendo sempre riferimento a quel 15-18% di cui parlava Prandini.
Alla fine, in questa guerra per il profitto, non si parla mai davvero di salute, etica e ambiente, né tanto meno di progresso, innovazione o di scienza, e anche quando si urla contro le “strategie delle multinazionali”, che sono sicuramente da condannare, lo si fa per proteggere i propri interessi e quindi comportandosi nello stesso modo.
La vera innovazione, il vero progresso, sarebbe che nessuno riuscisse a vincere questa guerra, se non la gente comune, che invece di rimanere a guardare in attesa di sapere cosa è meglio fare, smettesse a livello mondiale, di ingrassare certe tasche e iniziasse davvero a pensare alla propria salute e a quella dei propri cari, riflettendo anche sul Mondo che andando avanti così, lasceremo ai nostri figli e ai nostri nipoti.
Fonte: Periodicodaily